Contagio: storia di un concetto totale, tra magia, filosofia e scienza

 

di Liliana Dell’Osso, Barbara Carpita, Annalisa Cordone, Virginia Pedrinelli, Dario Muti
Dipartimenti di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa 


Indice dei contenuti

“Per i non esperti”

Bibliografia


Introduzione

«Una volta in contatto, per sempre in contatto». Descritta già da un secolo, la cosiddetta “legge magica del contagio” è una delle strutture costanti nelle credenze magiche e religiose: stabilisce che persone, animali o oggetti, una volta entrati in una relazione significativa, possono continuare a influenzarsi a vicenda1. Il concetto antropologico di contagio, attraverso il contatto di due “sostanze anima”, permea molta della magia descritta nelle fonti antiche, dai riti per la fertilità a quelli di guarigione. I combattenti Maori, per esempio, “contagiati” dalle anime dei morti in battaglia, al ritorno venivano isolati per un periodo in una capanna ai margini del villaggio: una vera e propria quarantena”. Oggi sappiamo che l’esposizione a un evento estremo, quale una minaccia per la propria integrità fisica, può causare un disturbo da stress post-traumatico; e viene da chiedersi se gli antichi saggi Maori avessero osservato quadri di tal tipo per disporre una tale norma.

Mondo classico

In origine, la medicina non pensava alle epidemie: i terribili morbi, vissuti come sciagure collettive nella coscienza della polis, costituivano argomento per gli storici. Come la peste che colpì gli ateniesi nel 430 a.C., secondo anno della guerra del Peloponneso (che quasi sicuramente non fu peste). Tucidide riporta nel dettaglio i sintomi della malattia (νόσος) «caso mai scoppiasse una seconda volta»2.
Le tecniche mediche (iatrike techne) ai primi passi, in assenza di nozioni di epidemiologia, ignoravano l’apparente movimento da un individuo all’altro. La medicina ippocratica si configurava piuttosto come scienza dell’individuo al singolare, interessata più alle differenze individuali che non alla somiglianza dei casi in una popolazione. Si concentrava sulla singola persona, sulla storia personale, sul suo ambiente specifico. Anche Galeno procedette nella stessa direzione. E così la salute, nel mondo classico, venne soprattutto intesa come equilibrio fra interno ed esterno del soggetto, e la malattia come risultato dell’immersione dell’essere umano nell’ambiente.

Medioevo

Nel Medioevo si riteneva che gli esseri umani fossero tutti «contagiati dal peccato originale». E anche i peccati acquisiti potevano essere contagiosi: un peccatore, perseverando nell’errore, poteva indurre altri a seguirlo. Gli eretici potevano precipitare intere popolazioni all’inferno (materiale o morale), proprio come il corpo, fonte di ogni corruzione, poteva inquinare l’anima3.
D’altro canto, ne I racconti di Canterbury, il lemma contagion è usato da Chaucer per indicare al contempo la trasmissione interpersonale di peccati e lutti e quella di attributi virtuosi, come lealtà e entusiasmo. La malattia è segno del volere divino. Essa realizza la prossimità dell’essere umano a Dio. «O Segnor per cortesia manname la malsania» pregava Iacopone da Todi, chiedendo, attraverso un contagio, la dissoluzione del corpo, e tramite essa l’assoluzione dell’anima.
Scrofola e lebbra, patologie che modificano visibilmente la superficie corporea, sono investite di un particolare significato: rappresentano il destino dell’essere umano4. La lebbra, che occupa tanto immaginario medioevale, conduce alla morte dopo un lungo e ingravescente decorso. I lebbrosi sono istituzionalmente gestiti dalla Chiesa in una diffusa rete di lazzaretti e strutture di isolamento configurando un modello, sia sul piano ideale sia su quello pratico, per i futuri ospedali, compresi i manicomi.
In tale cornice, realizzando una netta linea di rottura, nel 1346 una pandemia di peste dall’Asia si diffonde rapidamente in Europa producendo effetti devastanti. Per le sue caratteristiche di estrema virulenza e letalità (stimata oggi attorno al 60%), rispetto alla “lenta” lebbra, la peste nera appare come un evento preternaturale. Dagli studi volti a definirne la causa emerge, tuttavia, il sospetto che il contatto tra individui possa giocare un ruolo nella propagazione del morbo.

Rinascimento

L’emergere di nuove nazioni e la scoperta del Nuovo Mondo, sul complesso scacchiere politico, coincide con il riconoscimento di un nuovo morbo: la sifilide. Il nome popolare di questa (imbarazzante) patologia – mal Gallicum o mal francese in Italia, mal napoletano in Francia – rimanda invariabilmente a un’origine straniera. La sifilide, come la lebbra malattia “lenta” e cronica, viene rapidamente associata a uno dei peccati tradizionalmente stigmatizzati da molte culture di matrice giudaico-cristiana, ovvero la sessualità, influenzando la nascita delle teorie moderne del contagio. Ne ammalò Syphilis, il pastorello dell’omonimo saggio di Fracastoro, punito con tale malattia deturpante da Apollo per aver peccato di hybris. E nel De contagionibus et contagiosis morbis et eorum curatione, Fracastoro ipotizza una trasmissione interumana, un contagium vivum, affidata a seminaria, semi o spore che passano dal malato al sano. Ma tali intuizioni furono fraintese dalla cultura dell’epoca, mirabilmente descritta da Alessandro Manzoni quando mette in bocca ai suoi personaggi seicenteschi, alle prese con contagi e morti, considerazioni sulla Divina Provvidenza. O quando riporta le tesi sulla peste di Don Ferrante, tanto meravigliose quanto evidentemente sbagliate.

Il contagio salutare: il “tocco”

Ormai estraneo al nostro background culturale (al netto dell’effetto placebo), l’esperienza della guarigione per imposizione delle mani risultava potenzialmente comune per i nostri avi. I re inglesi, ma soprattutto i monarchi francesi, perdurarono in questa tradizione, pur tra le prime manifestazioni di incredulità, sino all’epoca di Luigi XIV. In un giorno ritualmente stabilito, il re incontrava i sudditi in presenza di testimoni pronti a cogliere il prodigio della prossimità salutare e salvifica. «Le roi te touche, Dieu te guérit.», era la formula di rito, che implicava un contagio fra la santità del sovrano (per diritto divino) e la malattia del suddito. Non è la malattia a passare, lo sono bensì la salute, la santità, la purezza. Secondo le credenze del tempo, molte altre dinastie europee erano dotate di specifici poteri taumaturgici: i re di Ungheria potevano curare l’ittero, gli Asburgo la balbuzie, mentre i sovrani di Castiglia, in qualità di veri paladini della fede, erano in grado di “guarire” con il tocco e il segno della croce persino le possessioni demoniache. Se il morbo è contagio, anche la guarigione sacra lo è: stesso processo, ma segno inverso5.
Il tocco terapeutico, d’altronde, entra a far parte della storia della medicina: emblematico è il caso del mesmerismo (o magnetismo animale), teoria settecentesca elaborata dal medico Franz Anton Mesmer, fondata sullo studio di stati di suggestione, di crisi benigna e guarigione indotti (si riteneva) dall’uso di magneti.

Settecento e Ottocento e la nascita dell’Igiene

Nell’Età dei Lumi il microscopio, la conoscenza più accurata dell’anatomia e l’aspirazione alla costruzione di un sapere empirico e sperimentale conducono allo sviluppo di teorie animaculiste, sulla base dell’osservazione dei minuscoli esserini descritti da Antoni Van Leeuwenhoek. Con lo studio del vaiolo e della febbre il termine contagio assume una connotazione più prossima a quella contemporanea. Il contatto del corpo sano con quello ammalato, o con l’agente infettivo (sostanza o animale minuscolo che sia), diviene il paradigma dominante, coerente con il sapere attuale.
A partire dal diciottesimo secolo, in pieno positivismo, si assiste a una vera rivoluzione igienica: al concetto di infezione si contrappose la salubre pratica della “dis-infezione”. Che i problemi fossero generati da materie “putride” o da altre cause, si cercò di sviluppare prassi e sostanze che potessero arrestare o rallentare il decadimento del corpo, e di manipolare quegli ambienti che sembravano favorire il contagio: industrie, stive di navi e ospedali furono resi adatti a pratiche di disinfezione e ventilazione. Un’utopia della salute sembrava realizzarsi grazie ai risultati delle ricerche dei “cacciatori di patogeni” (Louis Pasteur, Filippo Pacini e Robert Koch): con la scoperta delle cause di malattie come il carbonchio, il colera e la tubercolosi, si diffusero pratiche di profilassi e campagne sociali con raccomandazioni igieniche. Applicando igienizzazione e disinfezione (per bloccare i procedimenti che portavano alla “putredine”), la chirurgia ridusse moltissimo la sua mortalità.
Le grandi battaglie scientifiche dell’epoca, con l’affermarsi della “teoria dei germi”, hanno ristretto il significato di contagio all’uso attuale del termine. Il grande mondo del contagio, di epoca classica e precedente, costituito da eventi negativi come le malattie, ma anche da eventi positivi come la guarigione per imposizione delle mani, lascia il passo ad una teoria specifica che riguarda il trasferimento, da un individuo all’altro, di un agente patogeno. Si riduce la minaccia del contagio, che inizia ad apparire come eventualità distante nella vita delle persone. L’efficacia della medicina nella profilassi e nella gestione dei contagi si è diffusa al punto che, nell’immaginario comune, esso è confinato ad aree dove la medicina biologica è carente o assente6. E così molti si sono sentiti nelle condizioni di contestare una delle più potenti armi per scongiurarli: i vaccini.

Novecento: il contagio come metafora

Nel clima di fine Ottocento, in Totem e Tabù Sigmund Freud sottolinea come la magia e le religioni presuppongano spesso un’azione a distanza, sulla base del principio di somiglianza (il simile chiama il simile, e lo influenza), e del principio di contatto significativo fra due oggetti, che determina una sorta di contagio nella mente del soggetto: il passaggio delle proprietà da un oggetto all’altro.
Tale concetto allargato di contagio, inteso come sintetica metafora, domina la cultura contemporanea. Durante le crisi economiche di metà anni ’80 del Novecento, il contagio finanziario è divenuto, da espressione giornalistica, vero e proprio argomento di dissertazione accademica, portando alla realizzazione di modelli economici di contagio7. Nel 1983 si descrisse per la prima volta un virus informatico (in coincidenza cronologica con un nuovo contagio, anch’esso connesso con la sessualità, l’AIDS).

Conclusioni

Se la seconda rivoluzione informatica ha generato una società delle reti, quella della società globalizzata si configura come l’era del contagio globale. Dopo una storia complessa che va da Tucidide sino ai moderni internauti, continua il rimando all’orizzonte antropologico, all’idea del “contatto” significativo che cambia, nel bene e nel male, e che continua a esercitare la sua azione anche a distanza di tempo. Il contagio, in quanto norma che regola i rapporti, è un concetto totale, una struttura portante dell’umanità.
L’attuale modalità di trasmissione delle idee trova efficace rappresentazione nella metafora del contagio8 (cfr.informazione virale” e “meme”) come dimostrato, durante il lockdown da COVID-19, dall’epidemia di hashtag e comunicazioni virali, di cui siamo stati spettatori e talvolta ulteriori strumenti di propagazione. Comunicazioni inerenti il virus, dai comunicati ufficiali alle teorie più strampalate, trovavano, grazie al contesto di timore del contagio, massima diffusione. Il doppio piano del contagio, nel mondo reale e nel mondo dell’informazione e della cultura, è uno degli aspetti peculiari dell’impatto sociale di questa che è stata definita la pandemia del secolo.

Immersi nell’ambiente, in contatto continuo con i nostri simili nel mondo fisico o della cultura, realizziamo che il contagi” è una dimensione fondativa della nostra esistenza, sul piano ontologico e pratico. Il contagio, come categoria allargata, interessa anche lo stesso neurosviluppo: è uno dei modi, innati o precocemente appresi, per conoscere il mondo, con conseguenze che possono interessare lo sviluppo delle nostre facoltà e della nostra personalità, nonché ovviamente le nostre vicende (psico)patologiche.

 

“Per i non esperti”

Infezione

Infezione deriva dal latino inficio: letteralmente “immergo”, “tingo”. Un significato simile lo ha anche il termine, ormai desueto, “miasma” che deriva dal greco μιαίνω: altro lemma che indicava in origine l’immersione di un prodotto tessile in una tintura, in modo da trasferire il colore dal liquido (spesso di origine organica, e talvolta di odore nauseante, come l’urina) al panno.
La malattia nel mondo classico è quindi “tintura per immersione”: una contaminazione (ma non tra persone), un avvelenamento, un’alterazione del contatto fra esseri umani e ambiente causerebbe lo squilibrio interiore, e quindi la malattia. Essa deriva da cause “naturali” come esalazioni, sciami di insetti, miasmi palustri, “vapori” della terra, “arie” troppo calde o troppo fredde.

Quarantena

Quarantena (parola veneziana) in origine indicava un digiuno e ritiro religioso di quaranta giorni (quarantina). Con l’arrivo della peste a Venezia, essa passò a indicare il periodo di segregazione che veniva imposto agli equipaggi delle navi come misura di prevenzione e contenimento del contagio.

Peste

Pestis in latino indica, genericamente, rovina e distruzione. La contagiosità della malattia fu efficacemente individuata, mentre per la sua causazione il focus rimase su arie torride e miasmatiche, venti corrotti e masse velenose. La diffusione della peste ebbe come effetto collaterale (simile a quanto osserviamo oggi per la COVID-19) una vera e propria esplosione di libri sulla peste. Alcuni, come il Decamerone del Boccaccio, la utilizzano come cornice letteraria. Altri, come il Consilium de peste di Saladino Ferro di Ascoli o il Consilium in epidemia magna dum accidit Perusii di Gentile da Foligno, sono testi di medicina medioevale.

Virus informatico

Nel 1983 fu descritto per la prima volta come “virus informatico” un codice informatico autoreplicante, capace di condurre al malfunzionamento un calcolatore. Si tratta di un’immagine concreta di un contagio astratto, non fra corpi od oggetti, ma tra informazioni.

Informazione virale

Con l’avvento delle reti di calcolatori e delle comunicazioni massificate ad alta velocità, la nuova frontiera del contagio è quella relativa all’informazione virale. Un dato che entri in contatto con un “ospite adatto”, può essere rapidamente reindirizzato ad un enorme numero di soggetti. L’informazione virale contagerebbe i soggetti, come un “parassita”, e da essi sarebbe poi divulgata presso la più ampia “popolazione sana”.

Meme

I meme sono idiomi, frasi fatte, sigle: in ultima analisi idee efficaci, che si propagano in modo analogo ai germi, passando da persona a persona per contatto. I meme, quindi, sarebbero “idee contagiose”, veri e propri “virus della mente”, la cui diffusione richiama le curve epidemiologiche. È il caso, per esempio, dei contenuti di alcune rivoluzioni scientifiche, ma anche dei meme umoristici, tanto amati dalle società contemporanee, che seguono curve di diffusione a campana, con un’esplosione finché la vignetta è “fresca” (e quindi fa ridere), e una successiva curva discendente. L’idea virale originale può, inoltre, essere caricata di nuovi significati: può “mutare” e tornare a diffondersi.

 

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