La lunga strada verso le terapie/2

di Barbara Illi
Istituto di Biologia e Patologia Molecolari, Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBPM-CNR), c/o Dipartimento di Biologia e Biotecnologie «Charles Darwin», Sapienza Università di Roma


PARTE 2 Dal trattamento delle malattie cardiovascolari alla terapia basata sulle cellule staminali


Indice dei contenuti

Ultimo aggiornamento: 17/11/2020

Bibliografia


Le informazioni contenute in questo sito sono a scopo informativo e di aggiornamento dello stato della ricerca e non sostituiscono in nessun caso una diagnosi o una terapia formulata dal medico.


Introduzione

Oltre al riposizionamento dei farmaci, si stanno esplorando altre terapie più specifiche per affrontare la COVID-19. Le malattie cardiovascolari sono la condizione maggiormente prevalente e fatale che i clinici si trovano a affrontare nei pazienti con la COVID-19. Perciò, le terapie che supportino il sistema cardiovascolare rappresentano uno dei trattamenti di prima linea. L’immunoterapia è un’altra opzione, ma si scontra con la difficoltà di produrre in maniera massiccia anticorpi sintetici. Al contrario, il plasma convalescente è una valida alternativa, che merita studi approfonditi. Anche la terapia cellulare con cellule staminali è in corso di valutazione. Infine, si stanno testando un gran numero di vaccini. I primi risultati sono promettenti, suggerendo che siamo sulla buona strada per debellare l’infezione da SARS-CoV-2 (di seguito indicato con CoV-2).

Trattamento delle malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari sono l’elemento prevalente di comorbidità (ossia la compresenza di patologie, anche pre-esistenti) della COVID-19. Il CoV-2 può anche indurre malattie cardiovascolari come conseguenza della tempesta di citochine o per infezione diretta.

Le manifestazioni cardiovascolari della Covid-19 vanno dalle coagulopatie all’infarto del miocardio (MI)1,2. L’elemento chiave è il recettore ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2). Questo è espresso non solo nelle cellule epiteliali del tratto respiratorio e dei polmoni, ma anche nel cuore, dove contrasta l’azione dell’angiotensina II (Ang II), convertendola in angiotensina 1–7, nel caso di un’eccessiva attivazione del sistema renina angiotensina aldosterone (RAAS)3.

Anomalie della coagulazione

La COVID-19 potrebbe essere definite una patologia trombo-infiammatoria, caratterizzata da coagulopatia indotta da sepsi (SIC, Sepsis-Induced Coagulopathy) e coagulazione intravasale disseminata (DIC, Disseminated Intravascular Coagulopathy), specialmente nei casi gravi.

Le anomalie della coagulazione sono definite come diminuzione dei livelli di piastrine e fibrinogeno e aumento dei prodotti di degradazione del fibrinogeno come i D-dimeri4. Eventi tromboembolitici venosi (VTE, Venous Thromboembolic Events) sono stati riportati in un certo numero di pazienti con la COVID-19 e sebbene l’uso dell’eparina sia stato consigliato per trattare questo disordine specifico5, la VTE non sembra trarre vantaggio dalla somministrazione di eparine a basso peso molecolare6. L’Ang II potrebbe essere responsabile della disfunzione endoteliale (ED, Endothelial Dysfunction) e dell’incremento della permeabilità vascolare7.

Sebbene la patogenesi sia ancora poco compresa, recentemente è stato suggerito che uno sbilancamento tra fattori pro- e anti-antiangiogenici possa contribuire alla coagulopatia dipendente dal CoV-2. In particolare, nei pazienti con la COVID-19 è stato osservato un alto rapporto tra il recettore solubile Flt-1 (sFlt-1, soluble Fms-like tyrosine kinase 1) e il fattore di crescita placentare (PlGF, Placental Growth Factor)8. Il CoV-2 reprime l’espressione dell’ACE2, aumentando i livelli di Ang II, che, a loro volta, promuovono l’aumento dell’sFlt-1. L’sFlt-1 agisce come esca per il PlGF e impedisce, inoltre, la produzione di ossido nitrico, causando disfunzione endoteliale.

Danno del miocardio

I pazienti che presentano prevalentemente manifestazioni cardiache (v. Nel cuore della tempesta) vengono trattati essenzialemente con steroidi, principalmente glucocorticoidi, somministrazione endovena di immunoglobuline fino all’ossigenazione extracorporea (ECMOExtraCorporeal Membrane Oxygenation)9,10.

Ipertensione

Il ruolo di ACE2 nel sistema RAAS è il legame tra la COVID-19 e l’ipertensione. Gli ACE inibitori (ACEi) e i farmaci bloccanti i recettori per l’angiotensina (ARBsAngiotensin Receptor Blockers) aumentano i livelli di ACE2 nei ratti11. Perciò, è stato ipotizzato che le terapie antipertensive possano essere dannose per i pazienti con la COVID-19. Tuttavia, non ci sono prove che gli ACEi o gli ARB aumentino i livelli di ACE2 nei tessuti umani12. Infatti, la Società europea dell’ipertensione, la Società internazionale dell’ipertensione e la Società europea di cardiologia hanno scoraggiato la sospensione delle terapie antipertensive nei pazienti con la COVID-1913.

Di rilievo il fatto che gli ARB possano essere riposizionati come farmaci per la COVID-19. Il losartan impedisce l’internalizzazione e degradazione di ACE2, perciò potrebbe essere protettivo contro l’infezione dal CoV-213.

L’irbesartan, un altro ARB, è stato suggerito come adiuvante nel trattamento della COVID-19 per il suo ruolo nel metabolismo del potassio. Infatti, l’ipokaliemia, cioè bassi lvelli di potassio nel sangue, è una caratteristica comune dei pazienti con la COVID-19. L’ipokaliemia è difficile da gestire, dipende dalla gravità della malattia e dall’attivazione del RAAS14. Perciò, si è ipotizzato che gli ACEi o gli ARB possano essere vantaggiosi nei pazienti con la COVID-19.

Un’altra relazione tra la Covid-19 e l’ipertensione è dovuta al sistema immunitario. Lo scarso controllo della pressione sanguigna porta ad una deregolazione del sistema immunitario, in particolare a una disfunzione dei linfociti T CD8+, che non sono più in grado di rispondere in maniera efficiente alle infezioni virali15. Perciò, la terapia antipertensiva potrebbe, almeno in parte, recuperare la deregolazione del sistema immunitario.

Il trattamento delle malattie cardiovascolari nei pazienti con la COVID-19 include terapie per l’infarto, aritmia e terapie anticoagulanti, laddove necessarie e appropriate. Di recente, è iniziata un sperimentazione clinica con l’APN01, una forma ricombinante del recettore ACE2 (hrACE2human recombinant ACE2; ClinicalTrials.gov: NCT04335136). Infatti, è stato dimostrato che questa forma di ACE2 può prevenire l’infezione non solo delle cellule Vero-E6, ma anche di organoidi vascolari e del rene16. Tuttavia, l’attività neutralizzante di hrACE2 non è completa, suggerendo l’esistenza di altre vie di infezione del CoV-216.

Immunoterapia

La stimolazione del sistema immunitario è una delle strategie correnti per trattare la COVID-19. Le strade terapeutiche più promettenti sono gli anticorpi monoclonali neutralizzanti e il plasma convalescente.

Sono stati isolati un certo numero di anticorpi neutralizzanti che impediscono il legame del CoV-2 con le cellule ospiti. In maniera significativa, alcuni di questi reagiscono in modo crociato con il SARS-CoV. L’anticorpo 47D11 blocca l’infezione sia di SARS-CoV sia di CoV-2 in vitro e la formazione di sincizi. Questo specifico anticorpo è stato isolato da sovranatanti di ibridomi di topi immunizzati con la proteina Spike (S) del SARS-CoV (un ibridoma è una cellula ibrida costituita da una cellula B, secernente uno specifico anticorpo, e una cellula di mieloma multiplo, che conferisce alla cellula ibrida la capacità di propagarsi indefinitamente in coltura e, quindi, di produrre grandi quantità di anticorpi). L’anticorpo 47D11 ha affinità per un epitopo conservato del subdominio S1B delle proteine S di SARS-CoV e CoV-2, laddove non interferisce con il legame di S ad ACE217.

Un altro screening di anticorpi prodotti da linfociti B di un paziente infettato da SARS-CoV, ha identificato un anticorpo, detto S309, in grado di inibire, potenzialmente, sia l’infezione da SARS-CoV sia da CoV-2, impegnando il recettore (RBD, Receptor Binding Domain) di S e limitando il riconoscimento di ACE218. Le stesse evidenze sono state ottenute per altri anticorpi19,20. Uno di questi, CB6, isolato dal siero di un paziente con la COVID-19, ha mostrato attività profilattica e terapeutica nelle scimmie19.

[agg. 17/11/2020] Molto recentemente, un altro anticorpo neutralizzante diretto contro Spike, l’LY3819253, denominato poi Ly-CoV555 e derivato da un paziente COVID-19 convalescente, che si è dimostrato molto efficace nel limitare l’infezione nelle scimmie31, ha dato ottimi risultati anche su soggetti umani infettati dal CoV-2 e con sintomi da lievi a moderati della COVID-19. Infatti, i risultati di una sperimentazione clinica (identificativo in clinicaltrial.gov: NCT04427501) effettuata su 452 pazienti, 309 riceventi l’anticorpo e 143 il placebo (in questi casi il placedo è di solito il liquido con cui viene somministrato un farmaco, per esempio la soluzione fisiologica) hanno mostrato che:

  • il trattamento con l’anticorpo induce una più veloce eliminazione del virus;
  • l’1,6% dei pazienti trattati con l’anticorpo ha necessitato di ricovero ospedaliero, contro il 6,3% del gruppo trattato con placebo;
  • solo il 4,2% dei pazienti ad alto rischio (per esempio, ultrasessantacinquenni o obesi) ha necessitato di ricovero, contro il 14,6% dei pazienti riceventi il placebo32.

Pertanto questo anticorpo si dimostra molto promettente sia come terapia, nel caso di sintomatologia non grave, che come profilassi.
Un’assoluta novità nell’ambito degli anticorpi monoclonali è rappresentata dagli anticorpi derivati dai camelidi (i lama, per esempio), che avendo una sola regione variabile, a differenza degli anticorpi umani che ne hanno due, possono essere più facilmente costruiti in formati multipli, sono più stabili sia alla temperatura sia a sostanze chimiche e sono meno soggetti a ciò che si chiama “impedimento allosterico”, ossia il mancato legame con l’antigene che si può osservare con gli anticorpi convenzionali più grandi. Queste singole ragioni variabili vengono chiamate nanocorpi (nanobodies).
Inizialmente, questi nanocorpi sono stati ottenuti contro SARS-CoV e MERS-CoV, immunizzando i lama con le rispettive proteine Spike e si sono dimostrati efficaci nell’impedire il legame di Spike ad ACE2. Inoltre, sono in grado di impedire il legame di altri ß-coronavirus ad ACE2, ma non sono risultati così efficienti nel neutralizzare il CoV-222. Tuttavia, di recente, l’immunizzazione di cammelli con la proteina Spike del CoV-2 ha permesso di identificare 32 nanocorpi in grado di neutralizzare il legame di Spike ad ACE2, di cui 7 si sono rivelati particolarmente efficienti33. Di questi, due hanno mostrato la capacità di inibire l’infezione da CoV-2 in cellule in vitro. Ma lo spunto più interessante di questo studio, è la possibilità di somministrare questi anticorpi per via intranasale, mediante nebulizzazione tramite uno spray34. Una tecnologia del genere applicata su larga scala consentirebbe di avere un farmaco e/o agente profilattico stabile e disponibile, senza ricorrere alla somministrazione ospedaliera, come dovrebbe accadere per gli altri anticorpi monoclonali in fase di sperimentazione clinica. [fine agg.]

La terapia passiva con anticorpi è una procedura ben consolidata e consiste nella somministrazione di:

  • anticorpi purificati, che, comunque, hanno più una funzione profilattica che terapeutica;
  • immunoglobuline, che contengono gli anticorpi contro il patogeno specifico di interesse;
  • plasma convalescente, che è impiegato in situazioni di emergenza e che, in assenza di terapie efficaci, rappresenta l’unica opzione terapeutica per nuove patologie, come la COVID-19.

Più di 200 trial clinici sono in corso sull’uso del plasma convalescente per il trattamento della COVID-19. I risultati su numeri piccoli di pazienti, riceventi anche terapie standard, hanno riportato un beneficio nell’uso del plasma convalescente22, facendo crescere l’ottimismo riguardo questo tipo di immunoterapia passiva. Tuttavia, molto recentemente, i risultati del primo trial clinico randomizzato su 103 pazienti con COVID-19 grave, che ha impiegato il plasma convalescente più la terapia standard, rispetto a terapia standard da sola, non hanno riportato, globalmente, miglioramenti statisticamente significativi23. Nonostante ciò, i pazienti trattati con il plasma convalescente si sono negativizzati rispetto all’RNA virale dopo 24, 48 e 72 ore dalla trasfusione. Inoltre, questo studio presenta molte limitazioni, incluse la randomizzazione tardiva (a 30 giorni dall’insorgenza dei sintomi), la presenza di terapie concomitanti e il fatto che fosse open label, quindi ha risentito di alcune decisioni prese dai medici durante il decorso della malattia24. Per queste ragioni, nonostante questi risultati scoraggianti, il plasma convalescente merita ulteriori e rigorose indagini.

Un lavoro pubblicato di recente ha riportato la presenza di basse quantità di anticorpi neutralizzanti nel plasma convalescente di 149 persone con infezione da CoV-2. Tuttavia, alcuni cloni di linfociti B producono in maniera ricorrente anticorpi anti-RBD di S, con attività neutralizzante potente, suggerendo come molto promettenti i vaccini che inducono questo tipo particolare di anticorpi25.

Terapia cellulare

L’interesse per un approccio terapeutico per la COVID-19 basato sull’uso di cellule è testimoniato dal numero di trial clinici in corso. Possono essere usati diversi tipi di cellule staminali: cellule mesenchimali derivate da midollo osseo, tessuto adiposo, polpa dentaria, sangue cordonale e cellule derivate da cardiosfere del tessuto cardiaco.

Le cellule mesenchimali (MSCs, Mesenchymal Stem Cells) rivestono un’ importanza particolare, in quanto sono molto poco immunogeniche, si espandono rapidamente in coltura, sono facilmente accessibili e, soprattutto, sono sicure26,27. L’attività immunomodulatoria delle MSC è alla base dei protocolli terapeutici utilizzati per trattare la COVID-19. Infatti, le MSC producono molte citochine e possono regolare il numero e l’attività delle cellule del sistema immunitario28. Inoltre, sono multipotenti e differenziano facilmente in cellule tessuto-specifiche, riparando i tessuti danneggiati. Curiosamente, quello che è normalmente un problema relativo all’infusione delle MSC, ossia il loro sequestro all’interno dei polmoni, diventa un vantaggio nel caso della COVID-19. Infatti, le MSC possono, in questa sede, recuperare le funzioni polmonari e riparare l’epitelio alveolare.

I risultati degli studi con le MSC soffrono, anch’essi, del piccolo numero di pazienti trattati. Comunque, alcuni studi riportano un miglioramento delle condizioni cliniche di pazienti affetti dopo il trapianto delle MSC29. Uno studio relativo all’uso compassionevole delle cellule derivate da cardiosfere ha mostrato l’efficacia e la sicurezza del trattamento. Anche in questo caso, però, solo sei pazienti sono stati trasfusi ed erano trattati anche con altri farmaci30.

Conclusioni

Probabilmente, assisteremo all’eliminazione del CoV-2 solo con la produzione di un vaccino efficace e sicuro, prodotto in larga scala. Tuttavia, il miglioramento delle terapie e, soprattutto, l’adozione di misure di contenimento, hanno fatto diminuire il numero dei contagi e delle morti, almeno in alcuni Paesi. Inoltre, bisogna di nuovo sottolineare che, senza lo sforzo straordinario e la cooperazione tra ricercatori, medici e industrie, gli attuali avanzamenti in termini di terapie e vaccini disponibili non sarebbero stati possibili. Sebbene siamo ancora lontani dal risolvere definitivamente il problema, ora abbiamo più strumenti per affrontare la COVID-19 e sconfiggere il CoV-2.

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