di Barbara Illi
Istituto di Biologia e Patologia Molecolari, Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBPM-CNR), c/o Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin”, Sapienza Università di Roma
Parte 1 Riposizionamento dei farmaci
Indice dei contenuti
Bibliografia
Le informazioni contenute in questo sito sono a scopo informativo e di aggiornamento dello stato della ricerca e non sostituiscono in nessun caso una diagnosi o una terapia formulata dal medico.
Introduzione
Negli ultimi mesi, abbiamo assistito a una crescita senza precedenti delle informazioni scientifiche relative a un solo campo di indagine. Il SARS-CoV-2 (di seguito indicato come CoV-2) e la pandemia di COVID-19 hanno rappresentato un’opportunità unica per creare le più forti sinergie tra scienziati appartenenti a diverse discipline: dall’epidemiologia, alla virologia, dalla biologia molecolare e strutturale alla bioinformatica, dall’immunologia, pneumologia, scienze cardiovascolari fino alle scienze sociali. Questo enorme sforzo, al di là del contenimento della pandemia e dell’accumulo di una grande quantità di conoscenza riguardo la biologia del CoV-2, ambisce, ancora oggi,a trovare soluzioni in termini di terapie e vaccini.
Attualmente, sappiamo che la COVID-19, nella sua manifestazione clinica severa, è una malattia iperinfiammatoria, multiorgano e potenzialmente letale. La COVID-19 potrebbe essere anche definita una patologia multifattoriale, in quanto la prognosi sfavorevole dipende da una serie di fattori, quali età, sesso1, polimorfismi del gene ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2) e del sistema HLA2,3, etnia4. Perciò, deve essere affrontata con terapie multidisciplinari.
A oggi, sono stati esplorati molti approcci terapeutici (peptidi sintetici, inibitori dell’RNA polimerasi e delle proteasi, anticorpi monoclonali, plasma convalescente, terapia cellulare) e sono in corso diversi trial clinici (Tabella 1). Inoltre, esiste un certo numero di vaccini in sperimentazione che, ottimisticamente, saranno pronti per la produzione su larga scala in tardo autunno.
Tabella 1 Trial clinici in corso al momento della stesura dell’articolo (Fonte: www.clinicaltrials.gov).
TRATTAMENTO | NUMERO DI SPERIMENTAZIONI |
Remdesivir | 16 |
Lopinavir/ritonavir | 35 |
Ribavirin | 3 |
Tenofovir | 2 |
Galidesivir | 1 |
Darunavir | 2 |
Camostat | 6 |
Favipiravir | 21 |
Ivermectin | 26 |
Idrossiclorochina | 186 |
Umifenovir | 4 |
Tocilizumab | 36 |
Steroidi | 12 |
Interferone | 20 |
Plasma convalescente | 104 |
Cellule staminali | 47 |
Riposizionamento dei farmaci
La prima strategia, quando ci si trova di fronte a una patologia sconosciuta, causata da un agente eziologico nuovo, è l’uso di farmaci già impiegati per altre patologie, simili o meno. I primi interventi per la COVID-19 sono stati dei cocktail di antivirali e steroidi. Di recente, l’analisi proteomica di 26 su 27 proteine del CoV-2 ha indicato diversi potenziali interattori e bersagli farmacologici5.
Le proteine del CoV-2 interagiscono con mediatori cellulari di processi vitali per la cellula. Il 40% delle proteine del CoV-2 interagisce con proteine del reticolo endoplasmatico coinvolte nel traffico delle vescicole, il che può spiegare il massiccio rimodellamento del reticolo endoplasmatico stesso e dell’apparato di Golgi durante l’infezione.
Alcune proteine, interagiscono con regolatori epigenetici, come la deacetilasi istonica 2 (HDAC2, Histone Deacetylase 2) e le proteine con bromodominio (<BET, Bromodomain ed Extra-Terminal domain). Altre interagiscono con proteine della risposta immune innata, con la via di segnalazione dell’ubiquitina e con l’apparato di traduzione5.
L’analisi proteomica ha permesso di identificare come potenziali farmaci un certo numero di molecole già approvate per l’uso clinico, alcune molecole in fase di sperimentazione pre-clinica e nuove molecole per cui esistono ancora solo dati di laboratorio in vitro5. Tra esse, gli inibitori della sintesi proteica e i ligandi dei recettori Sigma 1 e 2, due recettori transmembrana espressi nel cervello e nel sistema immunnitario, riducono la capacità infettiva del CoV-26,7.
Antivirali
Interferoni
Il CoV-2 sopprime la risposta immune primaria anche impedendo la produzione degli interferoni e inibendo l’attivazione delle loro vie di segnalazione8,9. Inoltre, i dati di letteratura oggi disponibili hanno indicato come gli interferoni possano essere dannosi anziché favorevoli, poiché inducono l’espressione di ACE2, aumentando, potenzialmente, la capacità infettiva del CoV-29.
Siccome i recettori per gli interferoni di tipo I e II sono espressi in maniera ubiquitaria, una terapia basata sugli interferoni causa effetti collaterali importanti. Tuttavia, l’interferone l di tipo III è stato proposto come potenziale agente terapeutico, dal momento che inibisce la disseminazione virale dall’epitelio nasale alle vie aeree superiori10 ed è una molecola protettiva, anziché infiammatoria11. Recentemente, l’interferone l si è dimostrato efficace nell’inibire la replicazione virale nelle cellule dell’epitelio del tratto respiratorio superiore e avere effetto profilattico e terapeutico nell’unico modello murino a oggi disponibile che ricapitoli l’infezione da CoV-212.
Per approfondire: v. Figure 4D, E ed F dell’articolo di Dinnon et al., bioRxiv,2020 a questo link, che mostrano l’effetto del trattamento con IFNλ: titolo virale in cellule umane di epitelio respiratorio (D) e in polmoni (E) e turbinati nasali (F) in un modello murino di infezione da CoV-2. I dati ottenuti con l’ IFNλ sono i primi tre valori in D e i valori indicati in giallo e viola in E ed F. Abbreviazioni: HAE, Human Air way Epithelial cells. Titer, titolo virale; untreated, non trattato; treated, trattato; prophylactic, profilassi; therapy, terapia).
Inibitori dell’RNA polimerasi
Remdesivir
Il remdesivir è usato in diversi trial clinici in corso (Tabella 1). È un analogo dei nucleosidi che viene convertito nella sua forma trifosfato all’interno della cellula e inibisce l’RNA polimerasi. È stato già usato per il trattamento dell’ebola13 e ha attività antivirale contro il SARS-CoV, il MERS-CoV14 e il CoV-2 in vitro15. Le basi strutturali dell’azione del remdesivir sono state chiarite dalla struttura ottenuta con la criomicroscopia elettronica, a una risoluzione di 2.5 Å, dell’RNA polimerasi diretta da RNA (RdRp) del CoV-2, complessata con:
- le proteine non strutturali (nsp) 7 ed 8, che aiutano la polimerasi a legarsi allo stampo e ne aumentano la capacità di processamento;
- con uno stampo di RNA di 50;
- con il remdesivir16 (v. anche L’infezione alla luce della biologia strutturale).
Il remdesivir, nella sua forma monofosfato, giace nella regione catalitica di RdRp, al sito 3’ dell’RNA innesco ed è incorporato come prima base nel filamento replicato, causando la terminazione della catena una volta convertito nella sua forma trifosfato16. Questo tipo di meccanismo è stato proposto per altri antivirali come favipiravir, galidesivir, ribavirin, che hanno la stessa azione inibitoria sull’RdRp17.
I primi dati relativi all’uso compassionevole del remdesivir in 36 su 53 pazienti affetti dalla forma grave di COVID-19 (30 in ventilazione meccanica e in ossigenazione extracorporea), descrivono un miglioramento delle condizioni cliniche18. Tuttavia, il primo trial randomizzato su 237 pazienti gravi, in doppio cieco con controllo rappresentato da placebo, con remdesivir (più lopinavi/ritonavir e corticosteroidi) non ha rilevato benefici clinici statisticamente significativi (ClinicalTrials.gov: NCT04257656). Tuttavia, i pazienti trattati precocemente con il remdesivir hanno recuperato più velocemente rispetto ai pazienti trattati con placebo, suggerendo risultati più promettenti e ampliando il numero di pazienti trattati precocemente dopo l’insorgenza della della malattia19.
Altri inibitori dell’RNA polimerasi
Mediante esperimenti di molecular docking, si sono dimostrati efficaci nell’inibire l’attività di RdRp e la replicazione virale anche altri analoghi dei nucleosidi. Ribavirin e sofosbuvir (già testati nel limitare l’infezione da HCV20), tenofovir (usato per la prevenzione dell’infezione da HIV21) e galidesivir (considerato un trattamento potenziale contro ebola e il virus della febbre emorragica22) hanno un’energia di legame per l’RdRp del CoV-2 simile a quella dei nucleotidi fisiologici. Un altro analogo, l’IDX184, al momento in trial clinico per l’epatite C23, ha un’energia di legame ancora migliore. Questa differenza nell’affinità per l’RdRp dipende dal numero di legami idrogeno, idrofobici, alogeno e interazioni cation-p (cioè, legami non covalenti che si formano tra la superficie di un composto chimico con una struttura ciclica aromatica, che è caratterizzata da legami di risonanza, che conferiscono alta stabilità, e un catione)24. Inoltre, il favipiravir, un analogo delle purine, si è dimostrato efficace nel migliorare le condizioni cliniche di pazienti con COVID-1925.
Analoghi ß-d-N4-idrossicitidina (NHC)
Questi analoghi hanno già mostrato di possedere un’ attività antivirale ad ampio spettro. Molto di recente, ne è stata descritta anche un’attività antivirale contro il MERS-CoV e il CoV-2 in cellule primarie epiteliali umane del tratto respiratorio17. L’EIDD-2801, un precursore del ß-d-N4-idrossocitidina-5’-isopropil estere, riduce non solo la replicazione e la patogenesi di SARS-CoV e MERS-CoV ma ha anche attività profilattica nei modelli murini. Questi effetti sembrano dovuti a un accumulo di mutazioni nel genoma virale17. Tuttavia, non esistono dati in vivo per il CoV-2, sebbene un modello animale di infezione da CoV-2 sia stato prodotto12.
Inibitori dei G-quadruplex (G4s)
I G4s sono strutture con quattro eliche formate da regioni ricche in guanina, sia nel DNA sia nell’RNA26. I quadruplex a RNA sono più stabili di quelli a DNA. Candidati G4s sono stati trovati in un ampia varietà di loci genomici umani e, di recente, anche in circa 7000 genomi virali27. Inoltre, sono stati identificati due macrodomini nel SARS-CoV, capaci di legare i quadruplex, coinvolti nella replicazione e trascrizione virale28.Grazie a una ricerca nel web server “Quadruplex forming G-Rich Sequences”, circa sono stati identificati 25 candidati G4s nel genoma del CoV-2 di Wuhan ( NCBI: NC_045512.2)29. Tuttavia, i ligandi dei G4s sono scarsamente impiegati nei trial clinici, poiché mancano di specificità. Una strategia alternativa potrebbe essere quella di bersagliare l’elicasi di CoV-2, che srotola l’estremità 3′ dell’RNA nascente e assicura il trasferimento all’estremità 5′ della sequenza leader complementare. Le elicasi srotolano anche i quadruplex.
A oggi, gli inibitori delle elicasi, come la banina30 e gli aptameri (oligonucleotidi che possono interferire con la replicazione virale)31 non sono stati trasferiti alla pratica clinica. Comunque, una ricerca per farmaci già approvati dall’FDA nella banca dati DrugBank, ha indicato 20 molecole potenzialmente attive contro le elicasi29 che potrebbero essere riposizionate per il trattamento della COVID-19.
Inibitori delle proteasi
Lopinavir e ritonavir
Lopinavir e ritonavir, per lo più in trattamento combinato, e il darunavir sono già stati usati per il trattamento dell’infezione da HIV. Dati recenti di un trial clinico in pazienti con COVID-19 grave non hanno mostrato risultati clinici incoraggianti, né una diminuzione nella carica dell’RNA virale nel gruppo trattato rispetto al gruppo di controllo32.
Inibitori di TMPRSS2
Una delle proteasi cellulari coinvolta nel processamento della proteina Spike (S) del COV-2, necessaria all’ingresso del virus nella cellula, è la serina proteasi transmembrana 2 ( TMPRSS2, TransMembrane Serine Protease 2). Infatti, l’inibizione di TMPRS22 da parte del Camostat mesilato, già impiegato come terapia per pancreatite cronica, esofagite post-operatoria e da reflusso, blocca l’ingresso di SARS-CoV e CoV-2 nelle cellule33. Di recente, uno screening di una libreria di composti naturali (NPASS, Natural Product Activity and Species Source), contenente 30 927 composti, per il TMPRSS2 ha permesso di identificare 12 composti. Uno di questi, NPC306344, ha mostrato la più alta affinità per il TMPRSS234. Tuttavia, le validazioni in vitro e in vivo devono attestare l’efficacia di questi composti nell’inibire la capacità infettiva del virus.
Inibitori di Mpro
La proteasi più studiata di CoV-2 è Mpro (detta anche proteasi 3C), una proteasi dimerica simile alla chimotripsina, codificata dal gene nsp5. Studi di predizione hanno identificato piccole molecole potenziali inibitrici già impiegate in altre malattie infettive. Tra esse, velpatasvir, ledipasvir e paritaprevir, usati nell’infezione da HCV35,36,37 e il raltegravir, impiegato come inibitore di HIV38,39.
In aggiunta ai farmaci riposizionati, nuovi farmaci, anche di nuova sintesi, sono stati testati per inibire l’Mpro. Di recente, sono state ottenute le strutture cristallografiche dell’Mpro, complessata sia con inibitori α–chetoamidici40 che con ebselen, un farmaco antiossidante41,42. Sia gli inibitori chetoamidici sia l’ebselen hanno mostrato attività antivirale in vitro40,42 e l’inibitore chetoamidico 13b ha anche mostrato tropismo per il tessuto polmonare nei topi CD140. Inoltre, un’analisi computazionale di inibitori potenziali di Mpro hanno suggerito il darunavir come farmaco promettente43. Due trial clinici sull’uso del darunavir, come trattamento per la COVID-1919, sono in corso (Tabella1).
Inibitori di catepsina-L (CatL)
La CatL, una cisteina proteasi degli endosomi, sostituisce la TMPRSS2 una volta che il CoV-2 entra nel citoplasma e continua a tagliare la subunità S1 di S44. Questo potrebbe spiegare perché inibitori di TMPRSS2 e inibitori non-specifici della catepsina hanno efficacia limitata se usati da soli. In effetti, l’uso combinato di questi inibitori blocca completamente l’infezione da CoV-2 in vitro45. L’inibizione di CatL, tuttavia, desta preoccupazione per la sua espressione ubiquitaria. Nonostante questo, un certo numero di molecole che la inibiscono sono state approvate dall’FDA e potrebbero essere riposizionate per il trattamento della COVID-1946.
Inibitori della 2′-O-ribosio metiltransferasi
Un altro bersaglio potenziale del CoV-2 è la 2′-O-ribosio metiltransferasi, codificata dal gene nsp16. L’attività di questo enzima è necessaria per la metilazione dei cap (rivestimenti) dell’estremità 5′ degli RNA messaggeri subgenomici. In questo modo, gli RNA messaggeri subgenomici sono mascherati e protetti dalle difese della cellula ospite. Uno studio predittivo ha indicato il bictegravir e il dolutegravir (entrambi inibitori dell’integrasi di HIV) come potenziali candidati per il trattamento della COVID-1939.
Antiparassitari
Ivermectin
L’ivermectin è un farmaco veterinario che è stato traslato nella pratica clinica a uso umano. È stato dimostrato che impedisce l’ingresso nel nucleo dell’integrasi dell’HIV47, inibendo l’interazione integrasi/importina a/b1, e limita la capacità infettiva di un gran numero di virus48,49,50,51. Questo ampio spettro di attività sembra dipendere dall’uso delle funzioni dell’importina a/b1 da parte dei virus a RNA . Dal momento che il SARS-CoV sfrutta l’importina a/b1 per il trasferimento tra nucle e citoplasma della proteina N del nucleocapside52 e inibisce l’attività antivirale di STAT1, sequestrando l’ importina a/b1 nel reticolo endoplasmatico e nell’apparato di Golgi53, è concepibile che il CoV-2 possa usare gli stessi meccanismi e che, perciò, l’ivermectin possa essere efficace contro l’infezione. In effetti, i dati recenti mostrano che l’ivermectin riduce l’RNA virale sia nel sovranatante sia all’interno delle cellule infette a partire dalle 24 ore di trattamento, raggiungendo un’inibizione di 5000 volte in 48 ore54. Al momento, sono in corso 27 trial clinici con l’ivermectin per il trattamento della COVID19 (Tabella 1).
Idrossiclorochina/Azitromicina
Dall’inizio della pandemia, l’idrossiclorochina (CLQ-OH) ha ricevuto grande attenzione. La CLQ-OH è la versione più sicura della clorochina, quest’ultima sintetizzata nel 1934 e usata per trattare la malaria55,56. Questa molecola esercita un effetto immunomodulatorio in un ampio numero di patologie, incluse l’AIDS e i tumori57,58. In un trial clinico non randomizzato e open label (ossia “in aperto”, in cui paziente e medico sanno che cosa viene somministrato), la CLQ-OH in combinazione con l’azitromicina (ATM) hanno ridotto la carica virale59.
Il meccanismo d’azione della CLQ-OH è stato identificato tramite modellistica molecolare60. La CLQ-OH possiede un’alta affinità per i gangliosidi, che sono utilzzati, insieme all’ACE2, dalla proteina S per entrare nelle cellule ospiti. I gangliosidi sono glicosfingolipidi di membrana, costituiti a loro volta di ceramide e oligosaccardidi, contenti una o più molecole di acido sialico legate alla catena oligosaccaridica. Un dominio di legame ai gangliosidi è stato rilevato all’N-terminale della proteina S di CoV-2 ed è stato proposto un modello duplice del riconoscimento della cellula bersaglio da parte di S60. La CLQ-OH, legata ai gangliosidi e specificamente al GM1 (un ganglioside contenente una molecola di acido sialico), potrebbe interferire con il riconoscimento della membrana cellulare da parte di S, diminuendo la forza dell’interazione con ACE2. Lo stesso meccanismo è impiegato, probabilmente, dall’azitromicina che ha una struttura praticamente identica ad uno zucchero su GM161.
Inibitori della fusione di membrana
Umifenovir
L’umifenovir è un inibitore della fusione di membrana già impiegato per il trattamento dell’influenza A e B. Sono disponibili pochi risultati sul suo utlizzo per il trattamento della COVID-19, ma sono in corso quattro trial clinici (Tabella 1). Al momento, una relazione su uno studio su 50 pazienti con malattia lieve/moderata, 16 trattati con umifenovir e 34 con lopinavi/ritonavir, ha riportato che i pazienti trattati con umifenovir sono guariti e sono diventati negativi all’RNA virale più velocemente dei pazienti trattati con lopinavi/ritonavir62.
Nelfinavir
Inizialmente prodotto come un inibitore di proteasi dell’HIV63, il nelfinavir inibisce la fusione delle proteine S sia di SARS-CoV sia di CoV-2 con la membrana cellulare, probabilmente grazie al legame del dominio N-terminale del sub-dominio S2 del trimero e impedendo la formazione della regione a sette ripetizioni (HR, Heptad Repeat) richiesta per la fusione del virus con la cellula bersaglio64.
EK1 e derivati
Un peptide inibitore (detto EK1), progettato in precedenza e che ha come bersaglio la regione HR del subdominio S2 di Spike, è stato già sfruttato per inibire le infezioni da SARS-CoV e MERS-CoV, altri coronavirus umani e coronavirus in relazione con SARS-CoV (SARSr-CoV). Questo peptide ha anche dimostrato attività profilattica e terapeutica nei topi infettati65. Siccome il CoV-2 ha una capacità di fusione più elevata rispetto a quella di SARS-CoV, probabilmente a causa di diversi amminoacidi mutati nella sua regione HR1 di Spike, è stata prodotta una versione avanzata, grazie all’aggiunta di una molecola di colesterolo. Il nuovo lipopeptide, detto EK1C4, ha mostrato una più alta capacità di inibire le infezioni da hCoV-OC43, MERS-CoV e CoV-266.
Antinfiammatori
Anticorpo monoclonale contro il recettore dell’interleuchina 6 (tocilizumab)
Uno dei dati certi sulla patogenesi della COVID-19 è la cosiddetta tempesta di citochine (v. anche L’esercito e le armi contro il SARS-CoV-2), di cui la produzione di interleuchina 6 (IL6) è l’ultimo, dannoso elemento della cascata. Perciò, interferire con le vie di segnalazione dell’IL6 potrebbe essere efficace nel limitare il danno multiorgano causato dalla COVID-19.
Il tocilizumab (TCZ) è un anticorpo monoclonale che riconosce la forma sia solubile sialegata alla membrana del recettore dell’IL6 ed è stato già impiegato nel trattamento dell’artrite reumatoide67. Al momento, ci sono 36 trial clinici sull’impiego del TCZ (Tabella 1), uno in combinazione con il remdesivir. A oggi, i risultati relativi all’efficacia del TCZ nei pazienti COVID-19 gravi sono disponibili per numeri piccoli di pazienti68,69,70. Tuttavia, tutti gli studi riportano effetti benefici nei pazienti critici, In particolare, le condizioni respiratorie di 69 pazienti su 100, trattati con TCZ agli Spedali civili di Brescia, sono significativamente migliorate; il 39,5% dei pazienti che richiedevano terapia intensiva ed erano sottoposti a ventilazione forzata sono stati estubati70.
Steroidi
Sono stati riportati risultati contradditori sull’uso dei corticosteroidi nel trattamento dei pazienti con la COVID-19. Un’analisi degli studi disponibili sull’uso dei corticosteroidi nel trattamento delle infezioni da SARS-CoV, MERS-CoV e CoV-2 non ha evidenziato benefici clinici. Al contrario, sono stati osservati effetti collaterali importanti71. Tuttavia, i corticosteroidi che agiscono per via inalatoria inibiscono l’infezione da coronavirus in vitro72, e in uno studio retrospettivo su 46 pazienti, 15 che hanno ricevuto basse e precoci dosi di metilprednisolone, hanno mostrato un miglioramento delle condizioni respiratorie, sia in termini di SpO2 sia di immagini in TAC73.
Molto recentemente, è stato dimostrato che il desametasone, un farmaco ampiamente disponibile in dosi massicce ed economico, è in grado di ridurre la mortalità dei pazienti con la COVID-19 del 20%. I risultati del trial clinico, eseguito nel Regno Unito e che ha reclutato 2100 pazienti trattati con desametasone, comparati con 4300 pazienti che hanno ricevuto cure standard, devono essere ancora pubblicati, ma in un comunicato stampa è stato dichiarato che il desametasone si è rivelato efficace nel recupero di pazienti critici, specialmente quelli che richiedevano ventilazione forzata. Anche i pazienti che erano in ossigenoterapia hanno mostrato miglioramenti, mentre nessun effetto è stato osservato nei pazienti con sintomatologia lieve. Il desametasone è stato somministrato a una dose di 6 milligrammi al giorno e per un periodo di tempo limitato (10 giorni), il che sottolinea l’atteggiamento di cautela richiesto per l’uso di steroidi per via sistemica74.
Conclusioni
Il riposizionamento dei farmaci rappresenta uno strumento potente per fronteggiare la COVID-19. Infatti, i farmaci riposizionati sono già testati per la loro sicurezza nella pratica clinica e, in alcuni casi, disponibili in grandi quantità ed economici. In assenza di cure efficaci, il riposizionamente rappresenta la strategia più percorribile per il trattamento precoce dei pazienti, per evitare condizioni di pericolo di vita e per curare efficacemente non solo pazienti co COVID-19 moderata ma anche affetti in maniera grave.
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